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Speakeasy-Bar-And-Restaurant

Giorni fa a Riccione, in occasione di una mia partecipazione ad un simpatico concorso professionale organizzato dalla FIB (Federazione Italiana Barman), con la presidenza del collega Roberto Giannelli, ho ricevuto l’invito a visitare due locali di colleghi che esercitano in zone diverse della città.
Perché rifletto su questo confronto? Perché benché non più giovane mi piace osservare, riflettere sulle dinamiche di cambiamento del nostro mestiere e delle sue innovative proposte e di un mio adattamento mentale ai cambiamenti della nostra classica professione, che poi proponiamo ad una vasta ed eterogenea clientela.

Un locale era perfetto nella sua classica proposta di bar confortevole, per arredo, organizzazione tecnica del banco, assortimento eccezionale di tutte le etichette di liquori e distillati dal mondo con disposizione visiva. La presenza del barman gestore e della bella presenza femminile di un aiutante. Perfetto, confortevole, il pubblico entrando in un bar simile non ha dubbi di ricevere il massimo confort professionale.

Come valutare varie tipologie di locali?
Come valutare varie tipologie di locali?

L’altro locale era, nel pomeriggio, ancora chiuso al pubblico, eccezionalmente aperto dal collega per farcelo visitare e benché si sappia quanto può sembrare triste un locale chiuso, non ancora ripulito e riordinato, non illuminato, quello mi ha comunque conquistato: un ambiente vissuto che dava il piacere di sembrare a casa, una casa di altri tempi che portava il piacere alla conversazione. Il locale è del tipo “speakeasy” (speak easy, parla piano), un’antica categoria di ambienti dei tempi del proibizionismo negli USA, riproposti anche in Italia e dove si preparano fantasiosi cocktail, classici rivisitati con aggiunte di preparazioni di elementi homemade. Di tutto e di più per l’elaborazione di particolari miscele. Ovviamente per gestire un ambiente simile e farlo funzionare il gestore deve avere una grossa personalità e profondere capacità professionale e simpatia.

Peppino Manzi, papà dei barman italiani
Peppino Manzi, papà dei barman italiani

Ed ecco dove sta la mia considerazione al confronto. Quando a fine anni ‘60 io aprì il mio “Cluny American Piano Bar”, anch’io volevo proporre alla clientela del luogo marittimo un locale di nuovo stile. Praticamente il vecchio e classico club inglese fatto con un arredo di legno scuro, pelle ed ottone, un capace barman, un buon assortimento di bicchieri e ceramiche, un impeccabile servizio e l’aggiunta di un pianista (poi pianista cantante), ma eravamo sulla passeggiata esterna di una località marina, Milano Marittima. Ora, di quei locali e di tanti altri tipologie se ne sono aperti tanti negli anni, ed alcuni hanno sminuito fortemente le tecniche e l’eleganza del nostro mestiere di barman.

Ma questo tipo di locale “speakeasy” mi sembra che sia e possa essere l’estensione della creatività del barman per il suo piacere stesso di creatività e per ciò che può ricevere la clientela con le novità delle miscele cocktail. Quello che aggiungo, e mi rivolgo ai giovani colleghi che vorrebbero rivolgersi al suddetto e stimolante lavoro del bar e della miscelazione, è che è estremamente necessario comunque imparare prima tutte le regole della mixologia e del comportamento classico del barman. E’ un passaggio importante, specie quando poi si va a costruire un lavoro che può trasformarsi in moda passeggera.

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