Continuiamo il nostro percorso di conoscenza del prodotto pane al ristorante riportando un articolo interessante (Osservatorio HostMilano) che contiene i punti di vista di due grandi esperti del mondo della panificazione: Davide Longoni e Gabriele Bonci.
Come è cambiato il concetto di pane al ristorante e come andrebbe proposto oggi? Lo abbiamo chiesto a due grandi maestri del pane, il milanese Davide Longoni e il romano Gabriele Bonci. E a uno chef innovativo come Eugenio Roncoroni. Ne è venuta fuori una bella chiacchierata e una visione fuori dalle righe e dai preconcetti. Conclusione? Chi lo fa deve saperlo fare bene, la lievitazione non si improvvisa. E c’è sempre da imparare.
Collabora anche con ristoranti e alberghi Davide Longoni, tra i grandi promotori della rinascita del pane gourmet. Figlio e nipote di panettieri, mentore di tanti giovani della nuova generazione, pioniere 15 anni fa di un nuovo modo di fare pane e lievitazione. “Produciamo solo pani grossi e in ristorazione c’è stata la riscoperta di questo tipo di pane, da fare a fette. Al Noma, il più influente ristorante del mondo, Redzepi serve a tavola una pagnotta di pane rustico fatto con pasta madre da 300 grammi divisa in quattro, pane rustico pasta acida e farine integrali – spiega Longoni -. E anche in Italia l’alta ristorazione da Niko Romito in giù ha recuperato questa tipologia di pane. Qualche anno fa il pane al ristorante era ricco, con nero di seppia, alghe nori e altre raffinatezze, ora si è passati a un pane più semplice che però richiede una lavorazione importante. In brigata di solito è il pasticcere che fa queste lavorazioni, oppure ci si rivolge a un panettiere. È meglio fidarsi in un esterno piuttosto che fare male. Oppure formarsi: io ospito spessissimo cuochi che a ristorante chiuso fanno stage da me. A temperatura ambiente si possono fare lavorazioni senza celle, ma bisogna organizzare il tempo, preparare la sera il pane per il giorno dopo, il pane viene rigenerato in forno dopo essere stato pellicolato questo pane rustico può essere consumato per più giorni”.
Poi c’è il mondo delle farine: “c’è ancor molto da scoprire. L’Italia dalla sua ha un patrimonio di grani unico, se i panettieri, come stanno facendo, li valorizzano è positivo. Ci sono almeno un centinaio di panettieri bravi che stanno lavorando bene, una nuova generazione di panettieri che sta uscendo”.
Le nuove tendenze del pane al ristorante arrivano oggi però da San Francisco e dalla California come ci conferma un entusiasta Gabriele Bonciche una sera a Milano ha fatto coppia con lo chef e amico Eugenio Roncoroni (“ci siamo incontrati su una visione molto internazionale delle cose, molto contaminata”) per unire le rispettive competenze e creare un menu realizzato realmente a quattro mani e due teste. “Molti ristoratori a volte mi chiedono come faccio a migliorare il mio pane e io gli rispondo: compralo” esordisce Bonci, re della pizza romana sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Che sottolinea come il buon pane non si improvvisa. “La ristorazione non ha gli stessi tempi del panificio, le stesse quantità, può fare il pane ma ci vuole consapevolezza, una persona appassionata e che abbia la tecnica del panettiere. A Roma ho preso tanti stellati non s’era mai vista questa cosa, ma entrando quasi a far parte della brigata: quando c’è una riunione per un nuovo menu, io partecipo”.
“Fino a poco tempo fa se dicevi che il pane te lo facevi fare dal panettiere ti dicevano ah allora non sai fare il pane, il cliente si aspettava cinque o sei tipi fatti in casa e chiedeva se erano fatti al ristorante. Se dici no sei in difetto, ma invece è una buona cosa” interviene Roncoroni che il pane, però, se lo fa in casa grazie a Francesca, esperta in brigata “una ragazza con grande passione, lo fa con i macchinari che abbiamo ma bello, con una pelle fina e forme originali”.
Bonci mostra orgoglioso la sua creazione per la serata, il classico sourdough San Francisco “che sembra bruciato. Non prevede di essere spolverato con farina, è molto lucido”.
Dovevano arrivare gli americani per dirci come fare il pane? “Doveva arrivare questo momento storico. Perché i nostri nonni mangiavano un pane brutto, acido, non avevano tecnica. Il Nord ha creato tecnica, producendo un pane soffiato, tecnico c’è un’accademia. Al Sud ci sono i pani grandi bellissimi, a basso prezzo ma con una qualità delle farine bassa. Oggi il pane deve essere reinventato. Oggi non si mangia più un chilo di pane, ma 40 grammi, la gente cerca cose diverse il pane danese tedesco, il pane e avocado. Questa è la nuova frontiera, io l’ho italianizzato con la crosta, in America non ha la crosta è morbido”.
A San Francisco questo stile di pane morbido e acido l’hanno portato i francesi. “Però gli americani che hanno acquisito una grande tecnica danno poco valore alla materia prima, la farina. In questo l’Italia è molto più avanti, ha materie prime pulite, la maggior parte dei mulini hanno investito tanto nella tecnologia anche perché la farina serve anche per fare la pasta mentre in USA la domanda di farine è stata strutturata sulla domanda della industria del largo consumo. Certo, questo non è un pane da mangiare tutti i giorni, entra nella cultura dei 40 grammi pro capite, della ricerca, della qualità e della voglia di variare”.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.