I ristoranti all’estero sono un modo eccellente per rappresentare la qualità italiana nel mondo. Servono però delle garanzie per il consumatore, una sorta di comitato a tutela dei clienti. Ecco le dichiarazioni di Fipe.
Il vicepresidente di Fipe Cursano: “Su 60mila locali nel mondo solo 2.200 sono riconosciuti davvero come italiani. Ben venga un Comitato che tuteli i clienti”.
“I ristoratori italiani che lavorano all’estero sono veri e propri ambasciatori del nostro Paese nel mondo. Per questo il ristorante italiano deve diventare sinonimo di qualità, non solo per i prodotti che offre. Secondo le nostre stime nel mondo esistono circa 60mila ristoranti all’estero che si autodefiniscono italiani. Di questi solo 1 su 6 lo è davvero e soltanto 2.200 sono riconosciuti ufficialmente come tali. Per il resto ci troviamo davanti a imprenditori che sfruttano il prestigio di cui gode la cucina italiana e sempre più spesso anche i marchi dei locali più famosi, per racimolare qualche cliente in più: un problema su cui bisogna intervenire in maniera decisa. I ristoranti all’estero possono e devono diventare un argine formidabile contro l’italian sounding”.
La qualità dei ristoranti all’estero
Così Aldo Cursano, vicepresidente di Fipe, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, in merito all’emendamento alla legge di Bilancio, presentato a Palazzo Madama dal senatore Raffaele Fantetti.
“La cucina italiana è la più rinomata al mondo e, come è ovvio, tutti provano a copiare dai migliori. Dobbiamo reagire e dobbiamo farlo ora: bisogna creare una banca dati che censisca i ristoranti, le pizzerie e le gelaterie italiane e diventi una garanzia di qualità per i consumatori. L’italian sounding va combattuto a tutti i livelli, sia quello dei prodotti, che quello dei marchi. Per questo è importante costituire un Comitato di esperti che si occupi anche di promuovere le azioni legali, come previsto dall’emendamento Fantetti”.
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