C’era un tempo, non troppo lontano, in cui il mais – o granoturco, come lo si chiamava affettuosamente in Veneto – era il simbolo stesso della miseria contadina. Polenta ogni giorno, a ogni pasto, come unico conforto su tavole spoglie. Un piatto semplice, ma portatore di una tragedia silenziosa: la pellagra. Tra Ottocento e primo Novecento, questa malattia devastò intere comunità del Nord Italia.
Era causata da una dieta povera e monotona, basata quasi esclusivamente sul mais, che non trattato correttamente non forniva la niacina (vitamina B3) necessaria alla sopravvivenza. Gli effetti erano devastanti: dermatiti, disturbi neurologici, demenza e, spesso, la morte. Un morbo della fame, nato dalla povertà e dall’ignoranza nutrizionale.
Eppure, altrove, il mais era ed è tutt’altra cosa. In America Centrale, le civiltà indigene sapevano bene come lavorarlo: la nixtamalizzazione, un’antica tecnica di cottura con calce, rendeva il mais non solo digeribile, ma completo dal punto di vista nutrizionale. In Europa, quella conoscenza andò smarrita nel viaggio intercontinentale. Così, ciò che doveva essere fonte di vita divenne vettore di malattia.
Oggi, però, il granoturco si prende una rivincita inaspettata. Dalla povertà al palcoscenico della mixology, il mais rinasce sotto forma di liquore d’autore, distillato con cura e rispetto per le sue origini, distribuito in Italia da Spirits & Colori, realtà nota per una non comune ricerca di vere eccellenze a livello internazionale.
Il Nixta Licor de Elote, prodotto in Messico, è forse il simbolo più autentico di questo riscatto: realizzato con mais nixtamalizzato secondo le antiche tradizioni, è un liquore dolce e aromatico, ricco di storia quanto di profumo. Ogni sorso è una carezza alla memoria, un omaggio alle radici contadine trasformate in arte.
Accanto a lui, il whisky Abasolo, anch’esso messicano, si distingue per l’uso di mais ancestrale e per un processo di produzione lento e rispettoso, che mette in bottiglia secoli di cultura. Non è un bourbon qualunque, ma l’elevazione del mais a simbolo.
Assaporare questi spiriti permette di di riconoscere una materia prima che ha nutrito generazioni e troppo a lungo colpevolizzata per ignoranza. Dove in passato c’era malattia, oggi c’è riscoperta e il mais è riuscito nell’’impresa di riscattarsi senza rinnegarsi. Forse, se i nostri nonni avessero conosciuto la nixtamalizzazione, avrebbero evitato anni di sofferenze, ma forse oggi possiamo apprezzare ancora di più Nixta e Abasolo. Chissà che un giorno, in qualche osteria del Veneto, non ci si lasci inebriare da “un cocktail alla polenta”, tutto da gustare.
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