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Locali a Belgrado: la rinascita di una capitale

Facciamo un viaggio tra i locali a Belgrado, per capire com’è la situazione dei locali e del pubblico esercizio nella capitale serba. Ecco un articolo dell’osservatorio di Host Milano.

Nei nostri viaggi in giro per l’Europa per scoprire come viene declinata l’ospitalità in vari contesti ci siamo imbattuti in questa città in cui la scena è relativamente nuova e sicuramente emergente. Anche se a tratti sembrano lontani dalle logiche consolidate e rodatissime nell’opulento occidente, i locali a Belgrado sono senz’altro un bell’esempio di come a volte con pochi investimenti e tanta creatività si possano creare situazioni vitali e interessanti. Unendo tradizione e innovazione, passato e presente, con uno sguardo al futuro.
 
Passeggiando per le vie di Belgrado in effetti non si percepisce il passato recente, la tragedia della guerra e la dissoluzione della ex Jugoslavia. La sensazione è che tutti vogliano dimenticare nella “città bianca”, capitale della ormai piccola Serbia e una delle città più antiche del continente, data anche la sua posizione particolarissima alla confluenza di due grandi fiumi, Sava e Danubio. Eppure il passato salta fuori ad ogni angolo.

Il suo affacciarsi al mondo dell’ospitalità è recente: e la ricetta è stata la trasformazione di aree derelitte e abbandonate dall’industria e dalla storia, fabbriche, cortili, monoliti dell’epoca socialista, in luoghi di creatività e condivisione dove tante realtà convivono fianco a fianco proponendo nella stessa sera musica live jazz, blues e indie. Non esiste un vero e proprio centro, ogni area ha un suo carattere distintivo, dalla boho-chic Dorcol alta alla industrial punk Dorcol bassa, dalla fatiscente ma affascinante Savamala alla pittoresca Zemun alla brutalista Novi Beograd.

Belgrado è una città puzzle, dove edifici fatiscenti e grigi (per l’inquinamento e l’ampio uso del cemento) sorgono a fianco di ville liberty, deliziosi cortili e giardini si mescolano a fabbriche e ciminiere di mattoni, palazzoni popolari a basse case di pescatori, lucidi palazzi postmoderni un po’ pacchiani a squadrati monoliti dell’epoca socialista. È una città che sfugge, non facile da cogliere, quando pensi di averla capita ecco che ti sorprende.
Molto dipende dalla sua storia travagliata fatta di dominazioni sanguinose, strattonata tra Oriente e Occidente, cerniera di due imperi (Ottomano e Austroungarico) e due civiltà.

Oggi però locali, i ristoranti, i centri culturali e le gallerie d’arte, i pub e le kavarna, le taverne tradizionali, insieme alla musica, altra grande protagonista dopo il tramonto, ad avere trasformato Belgrado in una città così piacevole. Negli ultimi anni la capitale serba ha fatto del divertimento fuori casa un culto, nonostante tutto. Una scena vivace e un po’ sregolata, con aperture senza fine (i bar chiudono all’una e passano il testimone ai club), il rumore e il fumo non regolato e un turnover altissimo (i bar che abbiamo visto oggi non assicuriamo che ci saranno anche l’anno prossimo).


 
Passato e presente, est e ovest
Il mercato insomma sta arrivando. Ma con cautela. “Noi siamo così nei Balcani, ci lamentiamo e opponiamo sempre a tutto” dice una ragazza che presenta il controverso Belgrade Waterfront, il progetto per costruire su un’area di 1,8 milioni di metri quadri lungo la Sava un quartiere di lusso che ospiterà il più grande centro commerciale dei Balcani, alberghi, residenze e una torre di 200 metri. Cofinanziato dall’impresa Eagle Hills degli Emirati Arabi Uniti per oltre 3,5 miliardi di dollari. Obiettivo: trasformare la città in destinazione turistica a tutto tondo, non solo per giovani e curiosi.

Sarà in grado di distruggere la vivace e creativa scena di locali, ristoranti, kavarna e spavlovi, caffetterie e centri culturali e d’arte che rende oggi unica la capitale serba? Per saperlo bisognerà aspettare il 2030, data prevista per il completamento dei lavori. Nel frattempo la città, nella sua fantastica imperfezione senza orari, continua a fare festa e guarda seduta lungo i suoi due fiumi, con un sottile fatalismo, come andrà a finire.

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