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Storie al bar: Il Barman italico Stefano Federici

foto nel mio Food & Beverage Van con la mia "partner in crime" nel lavoro e nella vita: Cristina.

Per me essere un barman, se nasci in un ceto sociale medio basso, è una fortuna. Per molti è un lavoro di ripiego, un lavoretto da studente o per chi non sa ancora cosa vuol fare nella vita. Ma per chi è portato o meglio lo vede come arte, in senso lato, allora è una fortuna.

Perché ti dà l’opportunità di conoscere il mondo e le diversissime persone che lo affollano, di vivere in mondi lussuosi che non ti appartengono ma in cui riesci comunque a ritagliarti un posto importante, in sintesi ti dà l’opportunità di crescere umanamente. Poi c’è il talento, quello o ce l’hai o non ce l’hai ma, in entrambi i casi, lo puoi incrementare, se ti impegni.

Nel mio percorso ho attraversato tre stili:

il barman classico con le fondamenta provenienti dall’Istituto Alberghiero e dalla gavetta come commis de bar in locali di lusso,

il bartender, quello stile americano anni ‘90, colorato e veloce, fatto di frozen drinks e versatori in metallo,

e adesso faccio il barman “itinerante” principalmente in eventi privati con il mio Food & Beverage Van.

foto con una bottiglia di  Louis XIII

Ho capito che volevo diventare barman all’Harry’s Bar di Monte Carlo. Lì facevo il commis di sala, ma quando ho visto lavorare il talentuoso capo barman ho deciso che volevo essere barman anch’io. Così ho chiesto di lavorare come commis di bar gratuitamente ogni giorno, dopo aver finito il mio turno in sala. È stata una scelta fondamentale per la mia crescita professionale.

In quel contesto ho vissuto l’ambiente del piano bar di lusso, fatto di tanto champagne, whisky, cocktails classici, il servizio dei sigari e delle sigarette. Ho potuto vedere come lavora un professionista esperto, mi ha insegnato a non smettere mai di studiare, mi portava spesso nelle librerie insieme a lui ed è un’abitudine che non ho mai perso. Successivamente ho voluto mettermi alla prova sulle navi da crociera.

l’equipaggio della Seabourn Pride

Nel giorno in cui mi sono imbarcato per la prima volta, c’erano altri diciotto ragazzi come me, ma dopo sei mesi eravamo rimasti in quattro, la maggior parte è sbarcata dopo una settimana perché non sopportava il clima militaresco. Non è stato facile nemmeno per me ma ho saputo adattarmi e l’ho fatto per qualche anno, fino a diventare capo barman nella Seabourn Cruise Line.

La cosa che ho apprezzato di più in quella esperienza è stata l’organizzazione. Tutto funzionava magicamente alla perfezione come quando ero di servizio sul ponte, la nave si staccava dalla banchina per prendere il largo, i passeggeri si godevano il momento e nell’istante esatto in cui suonavano le sirene dovevo far partire tutti i bar waiters con i vassoi pieni di bicchieri di champagne o di cocktails da offrire ai passeggeri.

Mi sentivo come un piccolo direttore d’orchestra: reperivo la merce nell’economato per l’occasione, sceglievo quale cocktail offrire, doveva avere delle caratteristiche specifiche per essere adatto alla situazione poi dovevo prepararne in quantità decorarlo e sistemarlo sui vassoi nell’attimo in cui iniziavano a suonare le sirene, sotto lo sguardo severo dell’bar manager che vigilava sulla riuscita del servizio. Questo penso sia un buon esempio per dimostrare quanto fossero importanti i dettagli, la coordinazione, il team work anche in un piccolo semplice momento della giornata come quello.

Se penso al barman ideale, mi immagino un ragazzo o una ragazza con una profonda conoscenza merceologica, che lavora in ambienti raffinati, che riesce a preparare drinks di qualità velocemente e che riesce ad adattarsi a ciascun cliente trovando le parole e l’atteggiamento giusto per ognuno.

Di bei ricordi nel lavoro grazie al cielo ne ho avuti tanti.

Il primo è stato quando, dopo alcuni mesi di gavetta come commis di bar all’Harry’s, mi chiesero di sostituire il capo barman quando aveva la necessità di assentarsi (ovviamente lontano dai giorni di maggiore affluenza).

Un altro quando nel mio primo imbarco su una nave da crociera sono stato promosso da bartender a head bartender dopo tre mesi quando normalmente avveniva dopo un anno.

foto all’Antigua di Peppino Manzi

Quando nel locale di Peppino, una coppia di clienti appena tornati da Cuba, una volta seduti, ordinarono due Frozen Daiquiri e la signora si alzò, venne al banco e mi disse “Ho chiuso gli occhi e mi è sembrato di essere di nuovo al Floridita”.

Sempre da Peppino, un signore ordinò al tavolo un Singapore Sling e poco dopo mandò il cameriere a riferirmi che frequentava spesso il Raffles Hotel di Singapore e il mio Sling era quasi identico all’originale.

In questo momento gli ingredienti che uso di più sono i distillati e liquori italiani “artigianali” proprio per la scelta aziendale di utilizzare esclusivamente le piccole produzioni del nostro territorio.

Il mio rapporto con il cliente, cambia in base alle situazioni. Devo dire che sono stato un “barman nomade”, ho lavorato in tanti posti in giro per il mondo, perché ero famelico di conoscenza. Ma per fare un esempio pratico: non potevo atteggiarmi allo stesso modo sia al disco bar Waikiki di Fuerteventura che a bordo della lussuosa Seabourn Cruise Line. Sicuramente lo spirito di adattamento è fondamentale nel mio percorso ma se penso al fil rouge di ogni ambiente lavorativo, metterei al primo posto il rispetto del cliente. Ho sempre adorato il feeling eccezionale che si creava ogni tanto tra me e dei perfetti sconosciuti che non avrei incrociato mai più per il resto della vita con i drinks che facevano da trait d’union.

Se qualcuno mi chiedesse i cocktails che amo di più, in questo periodo della mia vita, risponderei: gli Highballs. Sono semplici e veloci, spesso snobbati, si trovano anche nei peggiori bar di Caracas. Io “li prendo per mano” e mi diverto a prepararli con cura, usando solo ingredienti di qualità.

Sembrerà scontato ma il locale ideale per me è il van in cui ho allestito il mio “bar itinerante” semplicemente perché l’ho creato su misura per me, per questo periodo della mia vita. Dopo le variegate esperienze in giro per il mondo, spesso in locali lussuosi, ho pensato di vivere il cocktail bar in maniera più pop, scherzosa, informale ma senza per questo rinunciare alla qualità del servizio e dei prodotti.

Stefano Federici in uno dei suoi tanti tour a Montecarlo

I tre aggettivi che userei per descrivermi sono:
Nomade. Come dicevo poco fa da ragazzo ho deciso di lavorare in tanti posti diversi proprio per caratterizzare la mia formazione piuttosto che scegliermi un buon locale ed espletare tutto il mio percorso lì.

Umile. Non ho mai ostentato il mio know how. Un esempio recente può essere quello quando qualche mese fa ho lavato i bicchieri e le tazzine nel beach bar di un mio amico che si ritrovò improvvisamente con molto meno personale del necessario. Non ho avuto nessuna difficoltà a mettere da parte il mio ego e fare ciò di cui c’era più bisogno in quel momento.

Appassionato. Ho sempre avuto una forte passione a spingermi nell’espletamento di questo mestiere e sono sicuro di averla trasmessa a tanti colleghi e clienti.

I tre aggettivi che userei per descrivere i miei cocktails sono:
Classici. Perché piuttosto che cimentarmi nella creazione di nuove miscele ho preferito impegnarmi a preparare, per quel che ho potuto, “a regola d’arte” quelle già esistenti.

Italici. Perché adesso uso solo ingredienti italiani e a volte, mi diverto, rivisitandoci dei cocktails che originariamente non li prevedono.

Equilibrati. Mescolare nel modo corretto degli ingredienti è un po’ come farli stare in equilibrio. Quando penso all’equilibrio nei cocktails mi vengono in mente le chiacchierate con il maestro Peppino Manzi perché lui in più di ogni altro sa trasmettere il fascino di mescolare i sapori.

foto nel mio Food & Beverage Van con la mia “partner in crime” nel lavoro e nella vita: Cristina.

Dopo aver espletato il mio mestiere in locali molto diversi tra loro, spesso lussuosi, ho voglia di cose semplici a patto che siano fatte con cura, da mani esperte e con ingredienti pregiati, per questo il mio motto è: #semplicemanonbanale.

Il mio motto è: semplice ma non banale che sintetizza uno stile fatto di piccoli dettagli e tenui sfumature che fanno la differenza.
Con il mio food & beverage van “traduco” specialità internazionali preparandole con eccellenze del nostro territorio.

Prima di concludere voglio approfittare di questa occasione per raccontare come sono arrivato a lavorare nel bancone di Peppino Manzi.

Negli anni in cui vivevo all’estero, quando mi chiedevano se c’era un posto, in Italia, in cui mi sarebbe piaciuto lavorare, rispondevo al Cluny Bar. Non c’ero mai stato ma lo conoscevo per fama. Infatti negli anni 90 gli scrissi una lettera con il mio cv proponendomi per la stagione estiva. Peppino mi rispose dicendo che apprezzava il mio percorso lavorativo ma era già a posto con lo staff.

Successivamente fu lui a cercarmi perché si era liberato un posto ma in quel momento ero già impegnato. Sembrava che il destino non fosse dalla nostra parte quando Peppino, cercando lo staff per l’Antigua Blus, nel 2001, ovvero il Cluny Bar spogliato della veste classica che lo aveva caratterizzato per tanti anni e ornato in stile caraibico, ritrovò in fondo al suo cassetto la mia lettera e mi chiamò.

Appena sbarcato definitivamente dalle navi da crociera, andai a conoscere finalmente di persona Peppino e da lì iniziarono, la nostra collaborazione, che durò tre anni e la nostra amicizia, che non finirà mai. Nonostante fossi un giovane barman ricco di esperienze importanti, lavorare con Peppino fu molto costruttivo sia dal punto di vista umano che professionale. Con tutte le difficoltà che ci sono state nel trasformare un locale dopo una quarantina d’anni, sono orgoglioso di ciò che siamo riusciti a fare.

Oggi presento un Highball Italico che ha riscosso un ottimo successo la scorsa estate.
Osservando l’onda di notorietà del drink messicano, ho pensato di “tradurlo” con ingredienti nostrani.
Di sicuro non tutti i clienti si soffermano a cogliere la filosofia prettamente tecnica del drink ma la cosa bella è che lo ha apprezzato anche da chi non ama il nostro distillato di vinacce che,
come sappiamo bene, solo recentemente si sta inserendo nel mondo della miscelazione internazionale.

PALOMA ITALICO

Ghiaccio cristallino
50 ml di Grappa di Verdicchio (Marche)
Top di Soda al Pompelmo Rosa “Bio” (Emilia Romagna)
Scorza di Limone “Femminello” Bio (Campania) 

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Questa rubrica vuole essere una sorta di contenitore delle vostre storie di vita ed anche delle vostre ricette più importanti. Di volta in volta daremo spazio ad un barman che racconterà la propria storia umana e professionale e che ci dirà, con un aforisma, il suo modo di vedere questa straordinaria professione.

Gli articoli saranno pubblicati qui su bar.it

Per ogni articolo, appunto, troverete foto del barman aforisma e una sua ricetta “cavallo di battaglia”. Alla fine di questo percorso, raccoglieremo tutte queste esperienze in un volume: “Storie al Bar” e-book e cartaceo.

Se volete raccontare anche voi la vostra storia e la vostra carriera, potete inviare una mail a bar@bar.it indicando come oggetto Storie al bar. Ricordate di:

Indicare nome e cognome, luogo di provenienza;
Allegare il file con le domande a cui rispondere per realizzare l’articolo (POTETE SCARICARE IL FILE QUI)
Scrivere l’aforisma che vi rappresenta
Allegare una o più foto che vi rappresentano negli anni di lavoro
ricetta e spiegazione di un vostro cocktail con relativa foto

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