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Il Viaggio di Peppino Manzi all’Estero: tra sogni e sfide

Un giovane Pepppino Manzi decide di lasciare il proprio paese per cercare nuove opportunità lavorative all’estero. Tra speranze, difficoltà linguistiche e adattamento a culture diverse, il suo percorso si rivela un’avventura ricca di lezioni di vita e crescita personale, fatta di successi inaspettati e qualche delusione lungo la strada.

“Era il marzo del 58, un giorno che prometteva avventura e nuove esperienze. Io e Brunetti, il mio compagno d’avventura, avevamo deciso di partire per Francoforte con tanta voglia di scoprire il mondo e pochissimi soldi in tasca.

Ma alla vigilia della partenza per Francoforte attraverso il nuovo conduttore della scuola e fratello del direttore Lobina del ristorante “Mario”, ci giunse una notizia telefonica, una strana telefonata di un incendio al ristorante “Mario”, ci aveva lasciato perplessi, il ristorante dove dovevamo recarci e dove avremmo dovuto lavorare. Ma la gioventù ha quel pizzico di incoscienza che ti fa andare avanti comunque, così abbiamo deciso di partire per vedere con i nostri occhi.

Brunetti, che proveniva dalle colline del cesenate per giungere a Cervia con la corriera, mi confessò che non aveva mai preso un treno. Per lui, già il viaggio era un’avventura. Partimmo da Cervia e attraversammo l’Italia in un susseguirsi di coincidenze e attese, fino a Milano. Da lì, finalmente, il treno diretto per Francoforte. Con noi avevamo solo un passaporto turistico, pochissimi soldi e un piccolo dizionario tascabile di tedesco. Insomma, eravamo pronti a tutto… o almeno così pensavamo. Durante il viaggio, la notte ci avvolse e tentammo di dormire, anche se il freddo e la stanchezza non ci davano tregua.

stazione di Innsbuck

Il treno attraversò il confine con l’Austria e fu allora che i nostri sogni di avventura subirono una brusca interruzione. Degli agenti di frontiera ci svegliarono per controllare i passaporti. Fuori dai finestrini appannati dal gelo, si intravedeva la neve che copriva tutto, rendendo il paesaggio quasi surreale.

Dopo aver esaminato le nostre valigie e chiesto dove fossimo diretti, gli agenti ci fecero una domanda che ci mise in difficoltà: “Cosa andate a fare in Germania?” Con il nostro passaporto turistico non potevamo dire che cercavamo lavoro, così rispondemmo che eravamo lì per turismo. Ma i pochi soldi che avevamo non bastavano a convincerli. La loro decisione fu chiara e immediata: ci fecero scendere dal treno ad Innsbruck, nel bel mezzo della neve, con le valigie ancora mezze aperte.

Lì, in quella stazione fredda e sconosciuta, ci rendemmo conto che il nostro entusiasmo non era bastato a superare gli ostacoli burocratici. Non avevamo né i mezzi né i documenti necessari per continuare il viaggio. Fu un momento di sconforto misto a incredulità. Ma se c’è una cosa che la gioventù sa fare bene, è trasformare ogni imprevisto in una storia da raccontare.

Quella notte ad Innsbruck non fu l’avventura che avevamo immaginato, ma fu comunque un capitolo importante del nostro viaggio. Anche se il sogno di Francoforte si era infranto, la lezione fu chiara: l’entusiasmo è fondamentale, ma a volte serve anche un po’ di pianificazione. E così, tra neve e valigie aperte, si iniziò a pianificare il nostro ritorno verso casa, con una storia nuova da raccontare e un pizzico di esperienza in più nel bagaglio della vita.”

Un viaggio verso l’ignoto: tra comicità e avventura

“La nostra sosta alla stazione di Innsbruck fu un misto di comicità e disorientamento. Appena scesi dal treno, guardando la coda del convoglio che ripartiva verso il futuro che avevamo immaginato, la mia prima domanda a Valeriano fu: “Dove siamo?”. Gli agenti di frontiera ci avevano parlato, ma non avevamo capito una parola. Valeriano, con la sua innocenza e un pizzico di ingenuità, guardò un grande cartello sopra di noi e annunciò: “Siamo a Ausgang!”. Solo dopo ci rendemmo conto che quello era il cartello per l’uscita e non il nome della città. La nostra conoscenza del tedesco era praticamente inesistente, e il pensiero di dover lavorare in Germania ci sembrava un’impresa titanica.

Nonostante l’imbarazzo iniziale, decidemmo di non desistere. Avevamo un obiettivo chiaro: raggiungere Francoforte e il ristorante “Mario” in Kaiserstrasse. Non avevamo un numero di telefono, ma l’indirizzo era inciso nella nostra mente. Alle prime luci del giorno, ci rivolgemmo all’ufficio di polizia della stazione. Con il piccolo dizionario e tanta gestualità, riuscimmo a spiegare la nostra situazione. Dopo ore di attesa e tentativi di comunicazione, arrivò finalmente la conferma: dal ristorante di Francoforte si erano presi la responsabilità della nostra emigrazione. Con i timbri sul passaporto e un permesso turistico, ripartimmo su un treno gremito di persone con sci al seguito. Per noi, vedere tanta gente dedicarsi a uno sport sulla neve era una novità assoluta, perlomeno a noi romagnoli che conoscevamo solo lo sci d’acqua.

La giornata a Innsbruck non fu priva di altri episodi curiosi. Decidemmo di cercare un caffè espresso per riscaldarci. Vedemmo un’insegna con scritto “exspess” e ci precipitammo, convinti fosse un bar. Era invece una lavanderia! Dopo qualche altro tentativo, trovammo un locale che serviva un caffè lunghissimo e poco apprezzabile.

Uscendo, incontrammo una ragazza con lunghe trecce, probabilmente nostra coetanea. Ricordando le storie raccontate in paese sulle turiste straniere, la facilità con cui si conquistavano, mi feci coraggio e provai ad avvicinarla. Con mia grande sorpresa, rimase a lungo in nostra compagnia, direi in mia compagnia, cercando un luogo di privacy fra i treni fermi in stazione, mostrando una spontaneità e generosità che mi lasciò incredulo. Mi dissi tra me e me: “Germania, arrivo!”. Ero già incantato da questa innocente avventura.

Tuttavia, il futuro si rivelò ben diverso da quel primo entusiasmo. La realtà quotidiana ci insegnò che conoscere la lingua era essenziale per sopravvivere e integrarsi e avere rapporti con le ragazze.

Quella giornata a Innsbruck rimase però impressa nella mia memoria come il primo sguardo verso un mondo nuovo, pieno di sfide ma anche di piccole scoperte.”

Una notte alla stazione: aspettando l’apertura del Ristorante Mario
“Era una di quelle notti che sembrano infinite dove il freddo ti entra nelle ossa e il tempo si dilata. Stanchi del lungo viaggio, eravamo arrivati alla “banoff” — così la chiamavano gli emigranti italiani del Sud — con l’intenzione di raggiungere il famoso “Ristorante Mario” sulla Kaiserstrasse. La fortuna sembrava dalla nostra parte: il ristorante non era lontano e avevamo già trovato l’indirizzo. Peccato fosse chiuso, ma d’altronde, chi tiene aperto un ristorante a tarda notte? Non ci restava che aspettare l’alba.

Per ingannare le ore, decidemmo di sistemarci in una sala d’aspetto della stazione ferroviaria. E che sala! Elegante, calda, con poltrone in pelle che sembravano fatte apposta per un pisolino. Ci sentivamo quasi privilegiati, come se avessimo trovato un piccolo angolo di paradiso nel caos della stazione. Ma la nostra illusione durò poco. Due poliziotti americani “MP” si avvicinarono con fare deciso e, senza troppi complimenti, ci invitarono ad andarcene. Niente da fare, la sala d’aspetto non era per noi, ma solo e unicamente per i militari americani, i quali avevano una loro base militare poco distante da Francoforte.

Sconfitti ma non scoraggiati, ci rifugiammo in una nicchia lungo uno dei freddi corridoi della stazione. Non c’era pelle morbida né calore accogliente, solo pareti gelide e il rumore incessante dei treni che andavano e venivano. Cercammo di passare il tempo come meglio potevamo, tra chiacchiere sussurrate e brevi momenti di silenzio. Ogni tanto qualcuno passava, ci dava uno sguardo curioso e proseguiva per la sua strada. Noi eravamo lì, immobili, in attesa che le ore scorressero.

Finalmente arrivò il mattino. Con gli occhi gonfi e i corpi intorpiditi, ci dirigemmo verso la Kaiserstrasse. Il freddo della notte sembrava ormai un ricordo lontano; l’idea di una colazione calda al “Ristorante Mario” ci dava la forza di andare avanti. E mentre camminavamo per la strada, con la città che lentamente si svegliava intorno a noi, non potevamo fare a meno di sorridere. Era stata una notte difficile, certo, ma anche una di quelle esperienze che ti fanno sentire vivo.

Non sapevamo se il “Ristorante Mario” sarebbe stato all’altezza delle nostre aspettative, ma in quel momento non importava. Quello che contava era che avevamo resistito, insieme, e che un nuovo giorno era finalmente iniziato.”

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