Francoforte sul Reno, città cosmopolita e vivace, nascondeva un piccolo angolo di Napoli sulla Kaiserstrasse: il celebre “Ristorante da Mario. Un locale italiano di gran lusso, dove l’atmosfera partenopea si respirava in ogni dettaglio. Non solo per il pizzaiolo che sfornava autentiche pizze napoletane, ma anche per l’orchestrina che, con mandolini e costumi da guappi, regalava ai clienti un’esperienza unica. Era come fare un salto diretto nel cuore di Napoli, senza lasciare la Germania.
Il ristorante era gestito da Mario Gagliardi, un personaggio noto nella città non solo per la sua abilità imprenditoriale, ma anche per il suo spirito generoso. Mario era famoso per aiutare i nuovi arrivati a Francoforte, offrendo loro un’occupazione e una possibilità di stabilirsi. Un uomo sempre pronto a tendere una mano ai nuovi emigrati.
Nonostante il fascino del locale l’inaugurazione non fu priva di intoppi. La direzione organizzativa affidata al Signor Lobina non riuscì a soddisfare le elevate aspettative del padrone. La serata d’apertura lasciò insoddisfatto il proprietario, e così che il Signor Mario provvide all’immediato allontanamento del direttore. Cattiva situazione che il Lobina voleva nascondere a noi della sua scuola di Cervia inventando un improvviso incendio del locale per non farci partire.
Un giorno, mentre correvo tra i tavoli per servire i clienti, un commensale tedesco chiamò la mia attenzione e disse: “Ein Messer bitte.” Non avevo idea di cosa significasse! Con un sorriso nervoso gli risposi: “I am sorry!” Era l’unica frase straniera che conoscevo, a parte un poco di francese. Il cliente, paziente ma visibilmente infastidito, ripeté la richiesta. E io continuavo a dirgli: “I am sorry!” Almeno gli avessi risposto “Bitte?” o “Entschuldigung?”. Alla fine, con un gesto eloquente — simulando il taglio della carne — solo allora capii: voleva un coltello!
Quella scena mi fece riflettere, tra imbarazzo e risate nervose, su quanto fosse importante conoscere almeno le basi della lingua locale. Mi insegnò una lezione importante: l’importanza di comunicare, partendo proprio dalle parole più utili… come “Messer”!
“Il Ristorante da Mario” non era solo un luogo dove mangiare; era un punto d’incontro, una piccola comunità napoletana trapiantata nel cuore della Germania. Per molti, rappresentava una casa lontano dalla propria casa, un rifugio dove ritrovare sapori e tradizioni familiari. E per noi che ci trovavamo a lavorarci, era una finestra aperta su storie e persone che arricchivano la nostra esperienza in terra straniera. Chi avrebbe mai pensato che un angolo di Napoli potesse trovare spazio sulla Kaiserstrasse? Eppure, lì, tra pizze fumanti e mandolini melodiosi, si respirava tutta la magia e il calore della città partenopea.
Trasferirsi in una nuova città è sempre un’avventura, ma farlo in un paese straniero comporta un mix di emozioni che spaziano dalla curiosità all’ansia. Quando mi sono trasferito a Francoforte, tutto era nuovo e, a tratti, decisamente insolito. Il lavoro mi garantiva pasti regolari, ma l’alloggio rappresentò un problema che ci costrinse a cercare una sistemazione temporanea fino a quando non si liberò una stanza nella mansarda del ristorante dove lavoravo.
Quel tipo di atmosfera era triste, lo ammetto, e mi sentivo fuori posto.
La coperta di piuma sul letto era un vero mistero: per quanto cercassi di tenerla ferma, finiva sempre sul pavimento. Una notte, nel tentativo di recuperarla, accesi la luce e mi trovai davanti qualcosa che mi fece gelare il sangue: un’immagine incorniciata di un ufficiale della Wermacht.
Eppure, con il passare del tempo, la mia prospettiva cambiò. Vivere a Francoforte non come turista, ma come lavoratore, mi permise di entrare in contatto con la mentalità e le abitudini dei tedeschi. Scoprii che dietro quella severità apparente c’era una profonda responsabilità personale e un forte senso del dovere. Questi valori si riflettevano non solo nel lavoro, ma anche nella vita sociale. L’organizzazione e la puntualità erano qualità che iniziai ad apprezzare e cercai di farle mie. Qualità che arricchirono la mia personalità nel mestiere dell’ospitalità e poi nell’insegnamento.
Francoforte mi ha insegnato molto, non solo sul popolo tedesco ma anche su me stesso. Ho imparato che le prime impressioni possono ingannare e che, spesso, le esperienze più difficili sono quelle che ci arricchiscono di più. Quella camera paurosa e quel quadro inquietante sono diventati, col tempo, solo dettagli di una storia più grande: quella della mia crescita personale in una città che alla fine ho imparato ad amare.
Imparare una nuova lingua, difficile come il tedesco con limitate basi di scuola anche per l’italiano, non è mai semplice, soprattutto quando ti trovi immerso in un ambiente dove quella lingua sembra quasi un miraggio. È la situazione in cui mi sono trovato quando ho iniziato a lavorare al ristorante “Mario”, un locale frequentato da una clientela multilingue ma gestito da uno staff composto quasi esclusivamente da italiani, molti dei quali originari del Sud.
Sin dall’inizio, mi sentivo un po’ fuori posto. Non solo non capivo i clienti, ma avevo anche la sensazione che il mio tedesco, già fragile, rischiasse di andare completamente perso. Avevo investito gli ultimi soldi rimasti per iscrivermi alla Berlitz School of Language, una scuola di lingue che frequentavo ogni pomeriggio nella pausa tra il servizio di mezzogiorno e quello serale. Era un sacrificio, ma ero determinato: imparare il tedesco era il mio obiettivo principale.
Il lavoro al ristorante, però, non aiutava. Passavo le giornate circondato da colleghi italiani e avevo l’opportunità di scambiare a malapena qualche parola di tedesco con i clienti.
Mi demoralizzavo sempre di più, sentendo che il mio sforzo per imparare quella lingua si stava vanificando. Dopo un mese di questo tira e molla, ho deciso di cambiare locale. Non è stata una scelta facile: il Signor Mario, che mi aveva aiutato a ottenere il permesso di lavoro, non l’ha presa bene. Mi ha rimproverato, e in parte lo capisco. Lasciare il posto dove avevo iniziato per cercare qualcosa di più adatto ai miei obiettivi era un gesto che poteva sembrare ingrato.
Ma non avevo scelta. Volevo immergermi in un contesto dove il tedesco fosse la lingua principale, dove potessi ascoltarlo, praticarlo e magari anche sbagliare senza sentirmi fuori luogo. Era una decisione che faceva parte del mio percorso di crescita, una piccola ribellione contro le circostanze che sembravano ostacolarmi.
Guardando indietro, quel periodo è stato una lezione importante. Mi ha insegnato che a volte bisogna fare scelte difficili per inseguire i propri obiettivi. Non importa quanto sia complicato o quante persone possano non capire le tue motivazioni: se hai un sogno, devi essere pronto a lottare per realizzarlo. E per me, quel sogno era imparare il tedesco.”
Quando decisi di lasciare il mio lavoro al Ristorante Mario, ero determinato a trovare una nuova opportunità che mi permettesse di crescere professionalmente e, soprattutto, di migliorare la mia conoscenza della lingua tedesca. Volevo mettermi alla prova in un ambiente internazionale, magari dietro un banco bar, dove avrei potuto interagire con una clientela diversa e arricchire il mio bagaglio di esperienze.
