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CSC vicina ai produttori e all’eccellenza

CSC

Enrico Meschini, presidente dell’associazione CSC Caffè Speciali Certificati, osserva i cambiamenti in atto nel mondo del caffè, orientati alla qualità. Un invito a riconoscere il giusto ai produttori, soffocati dai prezzi troppo bassi

Nel mondo del caffè dell’Italia del post lockdown qualcosa sta cambiando: cresce la polarizzazione del mercato tra i prodotti di fascia bassa e alta, con interessanti prospettive positive per questi ultimi. È un fenomeno che ha più motivazioni. Dalle riuscite operazioni di marketing di grandi nomi del settore (per i quali tuttavia il peso del prodotto di qualità è per lo più irrisorio), alla curiosità suscitata dai tanti momenti di informazione-formazione sui social durante la sosta forzata in cui anche CSC ha fatto la sua parte, all’ampio ricorso, nel periodo della chiusura dei locali, all’acquisto online anche di caffè di pregio.

Nel 2021 CSC Caffè Speciali Certificati compirà i suoi primi 25 anni di impegno totale nei confronti del caffè di qualità. Siamo stati pionieri degli specialty: li selezioniamo e certifichiamo per i torrefattori nostri affiliati che auspichiamo possano essere sempre più numerosi. Ad essi assicuriamo una caratteristica fondamentale: la costanza qualitativa del prodotto, anno dopo anno. Spesso ci siamo sentiti voci soliste nel richiamo alla qualità, talvolta ci siamo rimproverati di avere avuto l’intuizione giusta nel momento sbagliato, ovvero quando il mercato non era ancora pronto a recepirla. Oggi ci sentiamo parte integrante di un movimento che punta sull’eccellenza senza compromessi, finalmente compresa e ricercata anche in Italia, anche se con numeri inferiori rispetto ai Paesi del Nord Europa, agli Stati Uniti o all’Australia. L’importante ora è proseguire, far crescere e rendere ancora più consapevole chi cerca la qualità del caffè. A cominciare da confezioni “parlanti”, che comunichino tutti i dati (origine, area di produzione, piantagione e caratteristiche organolettiche) dei caffè contenuti.

Gli italiani hanno cominciato a parlare di arabica e robusta e di monorigini, ma questo non basta. Presentare una miscela dando solo le percentuali delle due specie o di un generico Paese d’origine può essere un primo passo, ma in realtà dice ben poco. Prendiamo l’esempio del Brasile: è un Paese dalle superfici coltivate immense, con differenze di clima, altitudine, specie, varietà e metodi di lavorazione che danno origine a caffè dalle caratteristiche fisiche e organolettiche differenti tra loro. CSC ha selezionato tre caffè di questa terra sconfinata, ai quali si accompagna il suo bollino con la certificazione ISO 22005, che garantisce la tracciabilità lungo tutta la filiera, dal chicco verde al prodotto confezionato. Chi sceglie, per esempio, un Brasile Cachoeira da Grama, riceve un caffè prodotto nell’Alta Mogiana, (stato di San Paolo), tra 1100 e 1250 metri, nell’omonima fazenda gestita dalla famiglia Carvalho Dias, che i responsabili di Caffè Speciali Certificati conoscono da più di venti anni e visitano periodicamente per verificare la qualità del prodotto e ottenere il meglio attraverso una coltivazione, una raccolta e una lavorazione conformi allo standard qualitativo della CSC, in modo da poter essere certificato. È un lavato che unisce alla tipica “rotondità” dei caffè brasiliani insoliti sensori di cioccolato al mandarino candito con una dolcezza inaspettata che prosegue nel retrogusto con note di zucchero di canna. Questo è davvero un caffè con una storia e precise caratteristiche da raccontare a un cliente che cerca l’eccellenza.

Il mercato all’origine

Infine diamo uno sguardo ai Paesi d’origine: le testimonianze che riceviamo dicono che ad oggi per lo più non risentono in maniera drastica della difficile situazione a livello mondiale a causa del Covid. Il raccolto e la lavorazione sono avvenuti abbastanza regolarmente e i primi campioni che abbiamo ricevuto sono conformi ai nostri standard. L’immenso problema del settore sono i prezzi, che continuano ad essere troppo bassi. Ne soffre soprattutto chi produce caffè di qualità commerciale e/o bassa. I produttori di specialty e microlotti, invece, riescono a spuntare prezzi migliori; per ritornare ai nostri baristi, questa considerazione potrebbe fornire loro uno stimolo a staccare dalla media, cominciando ad agire in maniera più imprenditoriale. Invito a riflettere su quello che ritengo sia un elemento chiave. Il proprietario di piantagioni medie o piccole ha nei confronti dell’acquirente una sola richiesta: ricevere un compenso adeguato, per vivere in modo dignitoso e potere dare alle colture le attenzioni e gli interventi di cui necessitano. Speculare, approfittando dei prezzi bassi, significa abbassare la qualità del prodotto, portare all’abbandono delle terre chi viene messo nelle condizioni di non potere sopravvive con il caffè e, quindi, in ultima istanza, mancare di rispetto a noi stessi. Oggigiorno in alcune zone questo è un rischio grande e imminente. Girare la testa e continuare a considerare il caffè una commodity è un atteggiamento miope oltre che poco etico, a cui CSC dice “no” con decisione.

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