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Pensieri, idee, sensazioni e riflessioni di un professionista a fine carriera. Che cosa vuol dire oggi fare il barman? In che direzione sta andando la nostra professione? Qual è il rapporto tra i “vecchietti” e le nuove generazioni?

Cari ragazzi, cortesi colleghi, pregiati clienti, questo mio intervento è l’inizio di una discussione che vuole restituire al bar la sua funzione originaria e al barman il suo ruolo a servizio del cliente e di cerimoniere.

Non sopporto più la professione improvvisata e i figli delle mode, purtroppo ignoranti, e incompetenti. Senza apprendistato, senza conoscenze merceologiche verificate, senza palato, dipendenti dallo zucchero, e succubi di un marketing che li spinge all’acquisto di prodotti sciocchi, fatti solo di packaging e privi di qualità reale.

Se volete salvare la professione, ve lo dice un barman a fine carriera, riappropriatevi della vostra personalità, non disdegnate il classico che è la perfezione maturata negli anni, e soprattutto imparate a degustare la qualità reale che è sostanzialmente differente dalla percepita.

Alcuni di voi diranno che la colpa è dei gestori, a cui interessa più assumere persone “alla moda” che attirano clienti, ma che del vero barman non hanno niente. Persone ignoranti, questi gestori, che propongono un servizio a discapito della professionalità ed anche della vera passione per questo mestiere.

In giro c’è ancora chi vuole davvero imparare o accrescere ulteriormente il suo bagaglio, ma purtroppo sono proprio questi, sembra, i primi ad essere tagliati fuori dal mercato di oggi. Proprio così, prima che finisse il millennio, d’altronde, già si diceva che sarebbe stato il secolo dell’immagine, perciò dell’apparire più che dell’essere: questo si ripercuote nella concezione del lavoro di barman e nella proposta dei locali. Sono nati così i drink appariscenti, non belli, non cattivi, ma scialbi e privi di personalità.

Molto dipende anche dalla formazione mal concepita, troppo veloce e approssimativa, volta più all’insegnamento meccanico di ricette che non al vero apprendimento delle materie prime e delle giuste dosi. La formazione oggi perde di vista la socialità, che è il fulcro del nostro mestiere. Il problema principale è che tutto questo “gioco a fare la professione” allontana la grande massa che, invecchiata e con meno soldi da spendere, non riconosce più il drink e, forse cosciente di gusti diversi, si allontana.

Dall’altra parte c’è una richiesta sterile di prodotti “premium” che di premium hanno solo il prezzo, adatti appunto a chi di superalcolici conosce un po’ di merceologia e l’etichetta, non di certo il gusto; anche perché fino a poco prima erano figli degli shortini.

Forse è che noi “vecchiarelli”,nati lo scorso secolo, siamo stati cresciuti “lentamente”. Tutto aveva un tempo. Un tempo per imparare, un tempo per iniziare a lavorare davvero e un tempo per cominciare a sperimentare…oggi tutto è estremamente veloce. Tra un po’ toglieranno anche la parola pazienza dal Dizionario infatti i ragazzi hanno fretta e vogliono diventare famosi (seppur nel loro Rione, ma famosi).

Etica, rispetto, pazienza di imparare non esistono più. Anche noi eravamo scalpitanti ma restavamo in silenzio ad aspettare il nostro turno. La maggior parte dei lavori funzionava così. Oggi è la società stessa che va a mille all’ora… “cotto e mangiato” (come direbbe la Parodi ) e io aggiungo anche velocemente digerito. Quindi colpa loro…forse!!! Ma in parte anche colpa di chi lo ha permesso. Di chi sta riempiendo la testa di questi ragazzi di cose effimere, di chi non li rispetta, di chi non ha avuto la pazienza di educarli, di una società che non tramanda più i mestieri.

Il pesce puzza prima dalla testa. In realtà, più che rabbia fanno tenerezza, abbandonati a loro stessi alla ricerca di un qualsiasi Guru che dica loro come vivere.

Stefano Renzetti

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